lunedì 5 novembre 2012

Antichi dolci greci


I primi dolci di cui si ha notizia nella storia greca sono quelli offerti sugli altari ai ghiottissimi dei. I cosiddetti “popana polyomphala” (è il nome più antico che si conosca riferito ad un dolce) sono, ad esempio, in stretto rapporto con la “Madre” primigenia. Ciambelle a forma di mezza luna erano offerte ad Artemide, mentre, quelle a forma di lira ad Apollo. I cosiddetti “aidola”, impastati con miele e sesamo, venivano consumati durante le festività di Dioniso. Biscotti a forma di bue comparivano, invece, sugli altari di Zeus Poliade, insieme ad altre offerte. La lista dei dolci cerimoniali, nell’antica Grecia, non si può dire fosse esigua, quasi che ogni divinità avesse il suo preferito. Comunque, il comune denominatore della pasticceria divina era, senza dubbio, il miele: Famoso era quello prodotto sul monte Imetto, ritenuto il migliore del mondo. Il sacro frutto di Melissa era, spesso, accompagnato dal sesamo, ma anche dalle noci e dalle mandorle. I minoici prediligevano dei dolcetti al sesamo e allo zafferano, dalla forte valenza erotica. Miele, sesamo e farina sono i componenti delle cosiddette “itria”, arcaiche crepes, cotte su piastre di bronzo. Mentre, le “placente” o “plakountes” erano sottile sfoglie di pasta, condite in vario modo. Nella Creta arcaica era in voga il “gastrin”, composto da noci, mandorle, uva sultanina, semi di papavero e semi di sesamo. Ingredienti che ancora oggi sono alla base della pasticceria greca. In particolare, i semi di sesamo decoravano (e decorano) una gran quantità di pani e di dolci. Nei banchetti dell’epoca classica si sgranocchiavano dei dolcetti di solo miele e sesamo, detti “sisamithis”, qualcosa di molto simile agli odierni, popolarissimi “pasteli” (croccante di sesamo). La ricotta fa la sua comparsa nei dolci dell’epoca classica.
Artemidoro riporta una ricetta a base di ricotta, i “tetiromeni plakountes”, una specie di calzoncini dolci. Una sorta di budino, a base di mosto e farina, era il “moustalevrìa”, consumato in autunno, durante la vendemmia. Sempre con il mosto non fermentato si faceva il cosiddetto “vin cotto”, usato per condire i dolci di pasta fritta come le “tighanìtes”.



Ivana Tanga, www.taccuinistorici.it

Nessun commento:

Posta un commento