lunedì 12 novembre 2012

I Dolci nel Medioevo

 

 

l termine “dessert” proviene dal francese antico desservir, che significava “sparecchiare la tavola” o letteralmente il contrario di servire, ed è entrato in uso proprio durante il medioevo. In quest'epoca i cibi facilmente digeribili dovevano essere consumati per primi, seguiti gradualmente dai piatti più pesanti.  Prima del pasto, lo stomaco andava di preferenza aperto con un aperitivo(dal latino aperio, "aprire") che doveva di preferenza essere di natura calda e secca: confetti di spezie come zenzero, carvi e semi di anice, finocchio o cumino glassati con zucchero o miele accompagnati da bevande composte di vino addolcito e corretto con latte. Lo stomaco, così come veniva "aperto", doveva essere "chiuso" alla fine del pasto con l'aiuto di un digestivo di solito un confetto, servito con "ippocrasso", un vino caldo speziato, e pezzi di formaggio stagionato, mentre nel tardo medioevo aveva iniziato ad includere frutta fresca ricoperta di zucchero, miele o sciroppi con dolcetti a base di frutta cotta.
Esisteva nel medioevo un’ampia varietà di frittelle, crêpes zuccherate, budini, tortine e paste di sfoglia che talvolta potevano contenere della frutta, ma anche midollo o pesce. Nei paesi germanofoni erano particolarmente amati i krapfen, che venivano anch’essi farciti in vari modi. In Italia e nel sud della Francia era molto diffuso il marzapane che si ritiene sia stato introdotto dagli arabi. I libri di cucina anglo-normanni sono pieni di ricette per preparare budini dolci e salati, minestre, salse e torte con fragole, ciliegie, mele e prugne. I cuochi inglesi avevano un debole per l’impiego di petali di fiori come rose, violette e sambuco. Una prima versione della quiche si può trovare nel Forme of Cury, un ricettario del XIV secolo dove viene chiamata Torte de Bry ed ha una farcitura di formaggio e tuorlo d’uovo.
Nel nord della Francia si consumava un vasto assortimento di cialde e wafer, mangiati con formaggio e hypocras oppure un malvasia dolce come issue de table (piatto preso prima di lasciare la tavola). L’onnipresente zenzero candito, il coriandolo, l’anice e altre spezie venivano definite épices de chambre (spezie da salotto) e venivano consumate come digestivi alla fine del pasto per “chiudere lo stomaco”. I conquistatori arabi della Sicilia introdussero sull’isola una certa varietà di nuovi dolci e dessert che finirono per diffondersi in tutta Europa. Così come Montpellier, la Sicilia un tempo fu celebre per i suoi confetti e per il suo torrone. Dal sud del Mediterraneo gli arabi portarono anche l’arte di preparare il gelato che si tradusse nella nascita del sorbetto e altri dolci come la cassata siciliana (che deve il nome all’arabo qas’ah, il termine che designava la ciotola di terracotta in cui veniva modellata) fatta di marzapane, pan di Spagna e ricotta dolce, e i cannoli alla siciliana (in origine cappelli di turchi) fritti, tubi di pasta dolce e fritta riempiti di ricotta zuccherata.
Ricettari giunti fino a noi mostrano come nel tardo Medioevo l' arte culinaria ebbe uno sviluppo significativo. Nuove tecniche, come appunto l'uso della pasta frolla e la chiarificazione della gelatina per mezzo dell'albume d'uovo iniziarono a farsi strada verso la fine del XIV secolo e nello stesso periodo le ricette iniziarono a comprendere istruzioni dettagliate per l'esecuzione invece di essere semplici elenchi di ingredienti che servivano solo come aiuto mnemonico per cuochi già esperti.


Da: Araldo, angoli medioevali.
http://www.cucinafilm.it/araldo/app_dolci.html


 
L’arte culinaria dell'Italia Settentrionale del XII secolo

La cucina è specchio della società.
Nei sec. XIII e XIV compaiono i primi libri di cucina.
Le fonti antecedenti sono scarse. Il documento più antico è un menu del XII sec. riferito alla realtà di Milano: si tratta della lista delle portate di un pranzo offerto dai monaci di un monastero milanese ai canonici della chiesa di San Satiro. Il pranzo è costituito da nove piatti, suddivisi in tre portate, pressoché tutti a base di carne (simbologia religiosa del numero tre nella religione cristiana). È un menu costruito “per accumulo” in cui la varietà delle carni e delle preparazioni ha il fine di soddisfare tutti i gusti. Il menù ci è pervenuto solo perché i canonici, insoddisfatti dell’ospitalità ricevuta, fecero causa al monastero e il testo è riportato nella sentenza conclusiva della controversia.
La carne è la protagonista principale della cucina medioevale (diversamente da quanto accadeva in epoca romana in cui era il pane ad essere prevalente) perché i trattati di dietetica medioevale, influenzati dalle consuetudini alimentari del mondo germanico, sostengono che è la carne l’alimento che nutre di più.
La carne è un elemento importante nell’alimentazione di tutte le classi sociali ed è presente anche sulle tavole contadine, grazie alla pratica dell’allevamento e della pastorizia.
Ma la carne è anche un segno del prestigio sociale e questo aspetto, col passare del tempo, acquista sempre più importanza. La carne, infatti, diminuisce sulle tavole povere nel momento in cui viene precluso ai contadini l’uso dei boschi che diventano riserve signorili.
Sulle tavole povere prevale il maiale nelle diverse preparazioni degli insaccati. Sulle tavole dei ricchi, invece, la carne, proveniente dalle attività di caccia, è fresca e varia.
Come si cucinava la carne? Sostanzialmente secondo tutte le modalità in uso ancora oggi, ma con una distinzione fondamentale: i bolliti sono tipici della cucina povera perché consentono di utilizzare tutto quello che la preparazione può dare, compreso il brodo, e richiedono una cottura lenta, che si svolge in casa ed è affidata alle donne; mentre gli arrosti sono una prerogativa delle tavole dei signori, rimandano all’idea di pratiche maschili legate al mondo della caccia (legna, fuoco, spiedo, aria aperta).
La carne è accompagnata dalle salse. Sono salse magre, a base di erbe, spezie, aceto, vino, agrumi; questi ultimi ingredienti costituiscono una base acida. Le spezie sono prerogativa della cucina ricca, ma non è vero che servissero a coprire il sapore della carne avariata in quanto, come si è visto, sulle tavole dei signori la carne era sempre disponibile, fresca e varia. Le spezie sono amate dai ricchi signori perché sono costose, danno prestigio, vengono da lontano (addirittura dai luoghi che nella geografia fantastica medioevale si pensava fossero la sede del paradiso terrestre). Sono dunque uno “status symbol” dell’epoca.
Le salse contadine invece sono a base di erbe (come la nostra salsa verde, ma senza olio).
Tratto centrale del gusto medioevale è la complessità, cioè la tendenza a mettere insieme sapori diversi: “una cucina sintetica” che tende all’agro/dolce/piccante (come la mostarda cremonese che può essere considerata un “fossile” della cucina medioevale).
Perché questa tendenza a mischiare? Perché i sapori rappresentano le qualità dei cibi che, nella loro diversità, contribuiscono a comporre l’armonia della natura. L’intento è dunque quello di ricreare tale armonia anche nelle preparazioni gastronomiche (è lo stesso principio su cui si fonda ancora oggi la cucina cinese, che si ispira all’equilibrio degli elementi Yin e Yang).
Per quanto riguarda i formaggi, a partire dal XII sec. cominciano a comparire prodotti di qualità per la cui preparazione viene utilizzato il latte vaccino, mentre nell’alto Medioevo il latte utilizzato era quello di pecora. Il più importante è il parmigiano, altrimenti detto lodigiano o piacentino a seconda dei luoghi di produzione. Fino al XII sec. viene consumato grattugiato sulla pasta condita con burro, cannella e zucchero (la prima ricetta di pasta al pomodoro è dell’800). La pasta (cibo di magro) è pasta fresca in area padana, mentre è secca nel Meridione (già nel XII sec. a Palermo è documentata l’esistenza di una produzione industriale).
 
Tipico alimento della cucina medioevale sono le torte che possono essere ripiene di carni, verdure o formaggi. Si può anzi affermare che la torta sia una vera e propria “invenzione” culinaria di questo periodo. Essa è presente in tutta Europa, soprattutto in Italia e ancor di più nell’Italia settentrionale. La diffusione dell’uso delle torte si spiega con la presenza nelle città di forni pubblici di uso comune: la torta è una soluzione pratica e comoda da trasportare, sia da cruda, sia una volta cotta.
Se consideriamo la cultura della pasta unita alla cultura delle torte, ci spieghiamo come sia nata la cultura dei tortelli, cioè delle paste ripiene (un trattato di cucina medioevale ne attribuisce l’invenzione a una contadina padana).
Il pane, nel Medioevo, non è un alimento così scontato come lo è per noi. Il pane bianco è consumato solo nelle città, più precisamente nei monasteri e nelle case signorili. In campagna il pane si produce con segale, miglio e panìco (simile al miglio); quest’ultimo viene preparato anche sotto forma di polenta (il mais non esiste ancora in Europa, in quanto è una pianta originaria del continente americano). In campagna si consumano comunemente zuppe d’orzo e di farro oltre che minestre d’avena. Questi, che oggi sono considerati cereali minori, cioè meno pregiati del frumento, in realtà non sono di qualità inferiore e non sono assolutamente sgradevoli sotto il profilo del gusto. È stata l’ideologia dominante che li ha svalutati per marcare le differenze sociali.
Secondo Bonvesin de la Riva, i contadini lombardi mangiano panìco, castagne e fagioli, non i fagioli originari dell’America, ma i fagioli cosiddetti “dall’occhio”, una varietà di origine mediterranea.
Esiste nel Medioevo una cucina locale? Sì, a livello contadino, perché a base di prodotti locali. No, se ci si sposta in città. Una delle caratteristiche della cucina medioevale è quella di non apprezzare le cucine locali, in quanto identificate con la cucina contadina e quindi povera. L’idea della cucina del territorio è un’idea molto recente. Nel Medioevo mangiare i prodotti del territorio è una cosa da “villani” cioè da contadini. Dunque la cucina “alta” è una cucina “internazionale”, un po’ come quella che noi oggi chiamiamo “fusion”.
Il più antico ricettario che ci è pervenuto risale al XIV secolo. Se si confrontano i libri di ricette di quel periodo, ci si rende conto che ricorrono invariabilmente gli stessi piatti e le stesse preparazioni, a dimostrazione del fatto che siamo di fronte a una cultura culinaria diffusa internazionalmente.
Come più sopra già affermato, la cucina medioevale sottolinea le differenze sociali.
Per il periodo considerato si deve dunque parlare di cucine cittadine e non regionali. La città assorbe, riassume ed esalta i valori culturali gastronomici del territorio. Ne è una prova il fatto che il prodotto rurale, ad esempio il formaggio prodotto nel contado di Parma, prende il nome dalla città che è dominante su quel territorio. In questo modo la città si rappresenta come il centro e il mercato del suo territorio.

Prof. Massimo Montanari (Università di Bologna)
(Appunti della lezione tenuta a Lodi il 15 novembre 2008)

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