mercoledì 7 novembre 2012

IL MIELE

 Storia dell'oro colato

 

 

Nella mitologia greca si raccontava che Giove venne nutrito dalle api del Monte Ida. Tra le prime monete metalliche coniate nelle città greche (VI sec. a.C.), ce ne erano alcune che ritraevano l'immagine dell'ape simbolo di produttività.
Gli autori ellenici forniscono numerose notizie sul miele. Lo chiamavano il “Nettare degli Dei”, ritenendolo un alimento meraviglioso, depositario di benefiche qualità. Dolci mielati erano presenti nelle cerimonie religiose e accompagnavano i sacrifici in onore delle varie divinità. Aristofane riferisce che focacce mielate erano il premio per gli atleti vincitori delle gare di corsa..
Il filosofo e matematico Pitagora esortava i propri seguaci a cibarsi, di pane e miele perché avrebbe garantito loro lunga vita.
I Romani ritenevano il miele il dolcificante per eccellenza, perché mosto e frutta non erano altrettanto pratici e ricercati.
La sua domanda nell'Urbe eccedeva la produzione, perciò lo si importava da Creta, Cipro, Spagna e Malta. I Latini utilizzavano miele sia per i dolci che per la preparazione del vino (idromele), della birra, delle salse agrodolci e delle conserve.
Neppure Catone (II sec. a.C.), censore di una vita troppo facile e dolce, era contrario all'uso del miele in cucina.
Furono le legioni di Cesare, tornate vittoriose dall'Egitto, a portare a Roma le ricette di ben sedici varietà di biscotti, cotti in forno e fritti, dedicati al culto della dea Iside.
Nel 30 a.C., al tempo dell’imperatore Augusto, l’apicoltura era nella sua età dell’oro. Plinio il Vecchio trattò dell'argomento nella sua opera “Storia naturale”. Virgilio, apicoltore e poeta, dedicò il IV libro delle Georgiche interamente all’allevamento delle api, esprimendo la sua personale preferenza per il miele di timo.
Durante il Medioevo questo prodotto restò elemento prezioso e ricercato: una guardia forestale chimata “bigrus” (bigre è uno dei nomi dell'ape) aveva come compito specifico quello di raccogliere gli sciami e proteggerli.
Il Capitolare de Villis di Carlo Magno, promulgato nell'anno 759, disponeva che chiunque avesse un podere doveva tenere anche api e preparare miele e idromele. Chi fosse stato sorpreso a rubare miele coltivato era punibile con multe di varie entità, chi invece avesse trovato un favo abbandonato ne diventava proprietario. Lo stesso imperatore aveva un gran numero di arnie nei poderi della reggia.
Fu nei conventi e nelle abbazie medievali che le tecniche apistiche si svilupparono con risultati eccellenti nell'ottenimento di miele e cera (utile a illuminare gli altari).


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